Per un’askēsis normodinamica (seconda parte)

Mutter und Schwester des Künstlers 1866 Öl auf Pappe 58,5 x 85 cm
di Antonio Ricci

Il termine askēsis, nel suo significato primo, sta ad indicare l’insieme delle azioni necessarie e scelte, utili per perseguire i propri obiettivi di sviluppo e trasformazione; rapporto concreto del soggetto con la verità; lavoro di sé su di sé.

Nel campo della formazione dell’umano assume un triplice valore:

  • promuove l’autonomia del soggetto, evidenziando la matrice prima del volere quale prerequisito per affrontare lo sforzo e la fatica che il processo educativo comporta;
  • sottolinea la necessità di un disciplinato sistema di pratiche, attraverso le quali l’educativo possa diventare azione reale e modo di vita;
  • richiama al valore insopprimibile dello studio quale mezzo per stabilire il rapporto tra il soggetto, la conoscenza del reale e le azioni quotidiane.

L’askēsis esprime la perfetta integrazione tra pensiero e azione, attraverso la quale l’educativo s’invera, non rimanendo quindi, puro discorso o, al contrario, mera azione. Il diventar vero di un contesto evolutivo risiede quindi nella possibilità che a nuove comprensioni facciano seguito azioni coerenti con esse; significa che da ogni esperienza possa nascere nuova conoscenza, in un circolo virtuoso dove le forze trasformative e di apprendimento rimangono sempre attive.

L’askēsis quindi, vista nell’ottica autoformativa e di ricerca, e nella sua accezione di strumento, sarà utile per:

  • applicare ciò che si è compreso;
  • comprendere il proprio funzionamento mentale e psichico profondo;
  • affinare, correggere e coltivare il proprio carattere;
  • sostenere l’impegno e l’intensità dello sforzo psicofisico;
  • generare presenza fisica e mentale;
  • mantenere l’apertura e il proprio equilibrio

Concretamente vuol dire sapere cosa ci si può permettere di fare e cosa no, cosa è importante che si faccia quotidianamente per rimanere aperti e per garantirsi tutte quelle qualità personali, tecnologie e conoscenze necessarie al buon svolgimento del proprio compito e, al contempo, utili per stare in buona salute mentale e fisica.

Nel metodo Periagogè vengono distinti tre diversi livelli d’applicazione dell’askēsis, che rappresentano modi di accostarsi all’esperienza per attraversarla attivamente: ordinario, formale e specifico, all’interno di due tipi di azione, consueta e inconsueta.

La pratica ordinaria consueta tocca tutti quegli ambiti del quotidiano divenuti routine, sui quali possiamo intervenire direttamente a partire dall’osservazione del rapporto che abbiamo con essi: i soldi, il sesso, il tempo, il cibo, lo spazio, gli altri, Dio e così viaÈ una pratica di attenzione ordinaria che tende a focalizzare i significati che conferiamo alle nostre azioni e i modi con i quali interagiamo, con l’obiettivo di modificarli qualora non risultassero coerenti con pensieri, intenzioni e risultati attesi. Gli obiettivi sono quelli di ampliare la consapevolezza, il discernimento e la capacità di scelta.

La pratica ordinaria inconsueta mira a creare una differenza con la propria routine quotidiana, senza la quale non si percepirebbe il reale nel suo continuo mutare, e quindi non sarebbe possibile comprendere e apprendere. È un mezzo per costruire competenze e attitudini particolari coerenti con i propri bisogni e obiettivi di crescita. Rientrano in questa categoria tutte quelle attività che richiedono la disponibilità ad una disciplina quotidiana, quindi un tempo ed uno spazio di studio dedicati, al di fuori delle consuete abitudini. Nel caso della nostra scuola sono le discipline a mediazione corporea, lo studio del combattimento, la corsa, la meditazione, l’arteterapia umanistica, i gruppi di analisi relazionale autobiografica e così via.

La pratica formale consueta è una forma di disciplina il cui senso risiede nella ricerca di bellezza, profondità, ampiezza e continuità della pratica stessa, nell’ottica di avere uno spazio di pratica non fondato sull’utilità immediata e su obiettivi specifici. È un tempo aperto di ricerca e ascolto di sé, un appuntamento con dimensioni affini all’arte, dove è possibile coltivare intuizione, attenzione straordinaria e rispondere a bisogni personali più sottili. È il tempo dedicato all’esecuzione libera e all’esperienza profonda dopo ogni allenamento e studio: meditare, dipingere, suonare, combattere, correre, danzare. L’attenzione va sia alla forma nei suoi dettagli, sia al significato ad essa connesso nelle sue diverse possibilità d’esperienza, sia al senso che tale pratica assume in rapporto al contesto. È lo spazio dove sperimentare l’integrazione mente-corpo nella pregnanza del gesto e nell’unione con il suo significato. È il tempo della meditazione, dell’arte e della preghiera.

La pratica formale inconsueta include tutti e tre i livelli precedenti e mira a creare un’ulteriore differenza ampliando l’intensità e la profondità di ciò che già si fa e per un tempo più lungo, con il proposito di tutelarne la genuina natura evolutiva e generare un livello d’attenzione e concentrazione extra-ordinario. Appartengono a questa categoria contesti non ordinari ai quali volontariamente si prende parte, che interrompono il normale svolgimento delle proprie routine quotidiane per un tempo medio o lungo, come ritiri, viaggi o eventi speciali.

La pratica specifica consueta e inconsueta è il rapporto consapevole con il reale senza scopi prefissati. Si agisce accogliendo ciò che c’è, ricercando piena presenza mentale, spontaneità e autenticità. È specifica perché deve riadattarsi flessibilmente ad ogni singola situazione, senza più l’aiuto, né il limite, di forme e contesti predefiniti. Essa rappresenta il confine oltre il quale finiscono la sperimentazione, l’addestramento volontario, la simulazione e la pratica formale, e dove inizia il campo totalmente libero e intenzionato della vita quotidiana nella ricerca di coerenza con i propri valori.  È la vita etica.

Ciascuno di questi modi include l’altro e tutti assumono senso solo nella rispettiva copresenza. La suddivisione in livelli va considerata un artificio utile per studiare con metodo e gradualità, suddivisione necessaria per evitare inoltre la confusione tra un livello e l’altro. Infatti può accadere che nella pratica si confondano le emozioni, i pensieri e le sensazioni che nascono dalla fatica fisica e dall’impegno emotivo, con ciò che deve prendere il volo appoggiato ad esse, trascendendole. Va riconosciuta nell’esperienza la differenza essenziale tra un’emozione e l’altra, tra una sensazione e un sentimento, e ciò che invece apre ad una dimensione pneumatologica dell’essere. Praticare per aumentare l’intensità emotiva è utile ai fini di un benessere immediato e per la conoscenza di sé ma non è il fine ultimo. Esiste una differenza sostanziale tra fare un esercizio per “conoscere e cambiare qualcosa” e, ad esempio, danzare per la gioia di essere, meditare senza scopo, o dialogare in piena presenza mentale per cercare incontro. La disciplina assume valore solo nell’ottica di consentirsi una maggiore libertà: è possibile “rompere” una forma solo se la si conosce a fondo e attraverso l’esperienza.

Esiste poi un ultimo livello: la vita. Qui l’askēsis vuole fondersi con l’esistenza, cercando la sua strada nell’esistenza reale e unica di ogni singola persona, altrimenti che senso avrebbe fare tutti questi sforzi? L’obiettivo è diventare delle persone libere interiormente e non degli automi.

A proposito della disciplina Menghi dichiara: “Per uscire dall’abituale punto di osservazione e vivere per un attimo senza vincoli c’è bisogno di molta disciplina. Una pratica costante è la volontaria attivazione di un’esperienza di autocostrizione. È l’espressione della più alta libertà: quella di porsi dei limiti senza l’obbligo di nessuno. In assoluta libertà. La pratica costante immette direttamente nel laboratorio sperimentale del Sé. I metodi possono essere diversi e così pure i contesti, ma l’obiettivo è sviluppare comprensione che vuol dire aprirsi dentro, com-prendere. La comprensione comporta accettazione, ossia “aprire la porta” in modo da lasciar venire e lasciare andare. Lasciar venire significa complessità; lasciare andare significa semplificazione, e la semplificazione gradualmente porta alla rinuncia, che non è sofferenza bensì alleggerimento. Più cose si lasciano andare più cose possono venire. La scelta di continuare la pratica, indipendentemente dall’averne voglia o meno, equivale alla decisione di affrontare le crisi e di smettere di cercare di evitarle. Mantenere stabile questa decisione permette di attraversare e conoscere differenti stati psichici, realizzando in una azione costante, un sapere profondo.

 Sono al sicuro quando dico la verità.  La mia energia è superiore alla mia stanchezza. La mia disciplina ha lo scopo di aumentare la mia libertà.  La mia disciplina è parte della mia grazia, e la mia grazia è parte della mia disciplina.  Il mio ambiente di veglia è più confortevole dell’utero. Sono contento di essere fuori dall’utero”. [1]

Per concludere possiamo dire che il significato pieno che l’askēsis assume in ambito normodinamico, in quanto lavoro di sé su di sé, può essere riassunto come disciplina necessaria per aumentare la libertà di scelta, incontrare se stessi e l’altro con maggiore consapevolezza, rendendosi disponibili ad un particolare addestramento della coscienza, della mente, del corpo, fondato sulle forze del volere, nel coinvolgimento dell’intera sfera emotiva, mentale e spirituale, dove il sentire è altrettanto importante del fare e del capire.

L’askēsis è una strada verso il reale.

 

Postilla

Questo testo è la sintesi di una serie di lezioni pensate per un ristretto numero di persone in formazione e aggiornamento permanente presso la nostra scuola. La forma attuale è il risultato di un fitto scambio con alcuni di loro, a partire dalla perplessità di condividere argomenti, linguaggi, significati con chiunque. Sono nate molte domande, critiche e commenti sui significati e sul senso specifico di queste  lezioni, sul valore della cultura e della sua condivisione, sul timore di essere scopiazzati, fraintesi, plagiati, non compresi o peggio ancora di finire nel nulla indifferenziato e caotico del web. Sono tutti rischi reali ma è oramai chiaro che il web prende la forma che vogliamo dargli. Sono invece convinto della necessità d’insistere nella condivisione di riflessioni qualificate e aperte, senza avere la pretesa di essere gli unici o i migliori, perché nell’agorà virtuale mondiale possa circolare pensiero e cultura liberamente, ad elevamento di chiunque lo voglia e nella convinzione personale che ciò possa contrastare la tendenza all’abbassamento della coscienza e di tutti i valori. C’è bisogno di studio e cultura, di domande forti e pensiero libero, di persone che abbiano cuore e pensiero, che amino la verità e che per questo ne sono in cerca. C’è bisogno di esporsi senza aver paura di dire la propria parola se vogliamo che qualcosa cambi e in meglio. Nel frattempo, grazie a questo piccolo blog, stanno nascendo scambi importanti con altre realtà educative, psicologiche e filosofiche altrettanto amanti della ricerca e con persone attente ai significati di queste nostre riflessioni.  Nella condivisione con i miei colleghi avevo anche un’altro proposito: stimolare la loro responsabilità e farli venire allo scoperto, per agire nell’immediato quanto andavo scrivendo. A proposito di askēsis e squilibrio era necessario che io parlassi a qualcuno per rendere viva la relazione e quindi proficuo lo scambio. Il movimento che ha generato in termini pratici e di complessità nei nostri rapporti mi conferma ancora una volta quanto sia importante individuarsi nella relazione parlando in verità.

Ringrazio soprattutto Valeria Vicari, Fabiana D’Onofrio, Francesca Dal Lago, Angela Cervera e Federica Angriman.

[1] Seminario del settembre 1991, pubblicato su TTT rivista di Normodinamica 13/1992.

Leggi “Per un’askēsis normodinamica (prima parte)”