Il web non è l’inferno né il paradiso

di Antonio Ricci

Cari Francesco, Valeria, Francesca, Ylenia, Luca, Federica,

tento di dare un’unica risposta ai vostri commenti sul mio ultimo articolo, “Per un’askēsis normodinamica”, a proposito della postilla e della condivisione sul web.

Non sono uno scrittore ma un educatore, mestiere che pratico da oltre 25 anni con convinzione e passione, quindi scrivo di ciò che faccio e conosco per sistematizzarlo e chiarirlo, e per condividerlo innanzitutto con persone che hanno scelto di occuparsi seriamente di loro stesse o che fanno il mio stesso mestiere; scrivo inoltre per sostenere la ricerca nel campo che da sempre coltivo, quello della “formazione dell’umano”, definizione che ho appreso dalla mia maestra Edda Ducci,[1] e ben poggiata su secoli di storia, ricerche e studi attorno all’educabilità umana, definizione generale che appartiene a chiunque operi come pedagogo, psicologo o insegnante. Scrivo per invogliare altri a fare altrettanto e meglio di me, per invogliare altri a studiare, approfondire, andare alle fonti dirette; non scrivo per intrattenere, vendere, provocare o convincere. In realtà non dico niente di nuovo, piuttosto continuo a ricercare tentando costantemente di  capire, applicandolo, cosa tutto ciò abbia a che fare con me e la mia professione.

Sul web si trova il meglio e il peggio dell’umanità e, a proposito di cultura, è possibile attingere davvero a innumerevoli fonti, alcune molto qualificate e altre a tal punto orride che sembra impossibile possano trovare spazio. Una volta si poteva solo andare in libreria e scegliere cosa leggere o studiare, ci si metteva in rapporto diretto con gli autori e s’imparava con la giusta lentezza, cosa che la complessità e la profondità di alcuni di essi sempre richiedeva. I libri più importanti venivano letti molte volte, almeno tre volte c’indicava Ducci perché si potesse dire “l’ho studiato”, venivano “mangiati” e infine metabolizzati, per essere poi riposti sulla propria libreria, segnati dai commenti a matita e spiegazzati dalle mani. Libri perciò resi vivi dalla relazione con il lettore, libri sempre “parlanti”, pronti per essere riletti in ogni momento della propria vita, per coglierci ancora un pensiero che prima era sfuggito. È qualcosa che in ogni caso continuo a preferire anche se non credo debba rimanere l’unica.

Il web rappresenta un modello pluralista e democratico, molto bello perché può dar voce a chiunque, ma anche profondamente violento e malato. Il problema è saper distinguere e poi scegliere, sapersi orientare e proteggere, ed eventualmente dare aiuto a chi invece questa capacità di discernimento non l’ha ancora sviluppata, vedi bambini e ragazzi. Rispetto agli adulti la questione è diversa. La tendenza alla superficialità, al degrado e alla semplificazione dei linguaggi on-line a me non piace; la facilità con la quale chiunque possa esprimere sommariamente, e spesso in modo anonimo,  giudizi sulle persone con livore e volgarità patologiche, senza pagarne le spese, è preoccupante e non mi appartiene; il pericolo di non rispettare la dignità della persona perché è tutto virtuale e distante, mi fa paura. E quindi cosa si può fare? Non certo rispondere alla pari né rimanere impotenti ad osservare questo squallore. Esiste invece un mondo che preferisce altro e che è molto lontano da tutto ciò, un mondo fatto di rispetto dell’altro, di cultura e ricerca, di pensiero critico e dialogante che ha voglia di condividere e comprendere, un mondo capace di ascolto e d’inclusione della diversità, fatto di persone che non amano abitare luoghi virtuali ma s’incontrano, dialogano e si confrontano davvero, perché vogliono di fronte un volto e una persona, perché hanno curiosità dell’altro. Penso sia però un bene che queste persone si facciano sentire senza paura anche sul web e che, con la delicatezza e il rispetto di cui sono capaci, portino altri linguaggi, modi, significati e contenuti buoni per tutti coloro che ritengono si possa e si debba fare altrimenti.

Il web non è l’inferno ma nemmeno il paradiso, è una piazza neutra, ed ognuno sceglie a quale discorso vuole prendere parte e con chi.  Come per i libri, leggi quelli che preferisci e, se graditi, li lasci entrare nel tuo quotidiano, nei tuoi pensieri, nelle tue azioni, altrimenti si dimenticano presto e va bene così. È una battaglia che si gioca su un piano molto insidioso e la posta in gioco è il recupero della cultura e del suo senso, della dignità del reale, della relazione diretta “corporea”, recupero del senso dialogico e dialettico da persona a persona. La cultura deve poter migliorare la qualità della vita, la propria singolarissima vita, che è anche vita di relazione, vita di affetti, vita politica e di partecipazione. C’è bisogno di persone che sappiano pensare fino in fondo i loro pensieri, che amino studiare, che non sfuggano il contatto con l’altro e che sappiano contrattare le reciproche intolleranze senza odio e paura, perché vogliono edificare nella relazione. È possibile? Io penso di sì.

Il web è solo uno strumento e un ponte non uno scopo, e infine somiglia a chi sei tu.

[1] Edda Ducci è stata professore ordinario di filosofia della educazione presso l’Università degli Studi Roma Tre e docente presso l’Università LUMSA di Roma, dove ha insegnato la stessa materia e “filosofia morale”. Assistente di filosofia teoretica di Cornelio Fabbro in gioventù, e poi pioniera della filosofia dell’educazione in Italia. Sua è stata la prima cattedra istituita per questa disciplina nel nostro Paese, presso l’università di Bari. È stata vice presidente del comitato educazione commissione nazionale italiana per l’UNESCO.