La cosa più difficile non è fare qualcosa, ma vivere. Una difficoltà di essenza non di accidente […] l’essere in quanto tale è un esercizio straziante, una combustione senza scampo. […] L’inconveniente di esistere non è un risultato degli anni maturi e autunnali, ma un difetto originario, la sorgente stessa a cui attinge la nostra mancanza di fondamento.
E. Cioran, Divagazioni
Tutto questo lavoro, nella sua essenza, ruota attorno a un unico tema: la questione del senso dell’essere. […] il tentativo va fatto vista la sua sostanziale importanza quando si parla di soggettività, e quando si opera per la crescita, la tutela e la cura della persona […] per capire cosa accade quando esso viene posto come obiettivo primario in ambito clinico e formativo. Da qui la scelta di analizzare il pensiero di Paolo Menghi. […]
Menghi era un neuropsichiatra infantile e terapeuta familiare scomparso nel 1998, nome noto nel mondo della psichiatria e della terapia sistemico-relazionale, in quanto tra i primi in Italia ad aver contributo alla divulgazione di questo metodo come formatore e terapeuta. Meno conosciuto invece per ciò che riguarda la seconda parte della sua vita, se così può essere definita, nella quale fece delle scelte personali radicali, si distaccò nettamente dal mondo accademico e della formazione, e sviluppò un metodo di cura e formazione dell’umano a cui darà il nome di «Normodinamica».
La sua è una figura controversa, volutamente ignorata, e per certi aspetti vista con diffidenza, da una parte di quello stesso mondo che ne aveva precedentemente apprezzato le doti come uomo, psicoterapeuta e formatore. Figura, al contrario, altamente stimata da tutte quelle persone che tra il 1984 e il 1998 si rivolsero a lui e alla Scuola da lui fondata, per avvalersi del metodo che proponeva e per partecipare al suo progetto di ricerca.
Credo si possa affermare che la problematica del senso dell’essere fosse cruciale per Paolo Menghi e che permeasse a fondo tutto il suo insegnamento. Scrive nel 1985: «È illusorio pensare che un sapere-teoria e un sapere-fare-tecnica non finalizzati all’essere, possano dare risposte terapeutiche, formative» (Giacometti, Menghi, 1985b, p. 156). Condivido la verità di questa dichiarazione, apparentemente semplice nella sua enunciazione; ne conosco le implicazioni pratiche, avendone sperimentato direttamente le conseguenze nell’una e nell’altra direzione; ho visto quale fatica comporti il sostenerla nella vita professionale, e quale fatica abbia comportato per Menghi il tentare di portarla alle sue estreme conseguenze.
È una posizione chiara, che non prevede compromessi perché la posta in gioco è alta, eppure, nella sua apparente ovvietà, per quanto attualmente in campo educativo e terapeutico se ne parli molto, non è poi così facile rinvenirne nei fatti la corretta comprensione e applicazione. Sono settori talmente ingombrati da equivoci sul potere della tecnica e delle strategie, sulla necessità di epistemologie e misure scientifiche oggettivanti, che introdurre la categoria dell’essere può risultare quasi bizzarro, se non per alcuni una velleità filosofica. Ma l’ingombro forse si situa a un livello ancora più profondo, visto l’esplicito richiamo a non disunire la dimensione tecnica dalla soggettività di chi la applica, nonché dall’inevitabile coinvolgimento personale che implica il rapporto.
Nessuna di queste opzioni, rispetto a ciò che comportano sul piano del processo di crescita personale, può essere ottenuta solo grazie a una laurea o a un corso di specializzazione per psicoterapeuti, seppure siano esse le condizioni minime necessarie. Quindi, se presa con serietà, l’enunciazione di Menghi pone molti quesiti non facilmente eludibili: di formazione, di intelligenza emotiva e relazionale, di maturità interiore, di coscienza, di esperienza di vita, di attitudine.
Vista l’entità del problema è in ogni caso comprensibile che si tenti di rispondere attraverso alcune semplificazioni teoriche e pratiche, illusioni appunto, che prima o poi dovranno però fare i conti con la realtà della relazione terapeutica o educativa, ben più complessa, rischiosa e incerta. […]
Sono pagine scritte sia per chi opera nel campo dell’umano e non ignora la difficile implicazione metodologica che la questione dell’essere impone nei processi educativi e terapeutici; sia per chi è stato dall’altra parte della frontiera, o lo è ancora, come paziente o studente, e vuole capire qualcosa in più del nucleo epistemologico e di senso che anima l’azione di cura; sia per chi è interessato a studiare i processi dell’umano da questa particolare prospettiva, per puro piacere di conoscenza.» (Tratto dall’introduzione)