Lasciamoli in pace

di Antonio Ricci

I bambini hanno un compito importante dal quale non vanno distolti: sono impegnati nello sviluppo della loro coscienza etica.

“Bisogna essere concreti, non vogliamo teoria ma pratica” mi dicono le maestre d’asilo quando le costringo a riflettere sul senso del loro agire, come se i bambini ed i loro bisogni fossero cose astratte e concreto fosse sinonimo di realista. A me sembra invece un modo ricorrente per nascondere una pigrizia abitudinaria, una punta di cinismo e molta approssimazione generalizzante e qualunquista. Hanno fretta che i bambini sappiano, che siano ben radicati da subito nella realtà e ben adattati ad essa. Spesso non sanno bene nemmeno loro se la realtà della quale parlano sia quella che preferiscono, il perché di tanta fretta e di tale sfiducia nei bambini, ma quando poi ci ritroviamo a parlare del tempo e del rispetto di esso nel processo di crescita di ogni individuo e non solo dei bambini, quando le aiuto a riflettere sui fondamenti educativi che conferiscono senso al loro agire,  allora intravedono la distanza esistente tra il bambino reale e quello che ogni giorno inventano: già vestito da adulto, logico e razionale, intraprendente, assertivo, efficace e nevrotico. E i bambini più silenziosi, goffi, docili o timidi? E quelli ai quali piace mangiare piano, piano, piano? E poi quelli che starebbero in silenzio ad ascoltare storie e storie piuttosto che guardare pubblicità deliranti in tv? E i vivaci incontenibili, pieni di dirompente forza creativa? Insomma i bambini reali, che puzzano di sudore, fanno capricci, che sono simpatici o antipatici, che rompono le balle con le loro regole surreali e rigide, che non capiscono perché ti annoi dopo la trentesima volta che ti fanno lo stesso teatrino…insomma tutti quelli lì, dove li mettiamo?

Ad un convegno sui tempi educativi un maestro elementare, con molto coraggio ed una punta di tristezza ha detto “Ho la sensazione che intorno al tema del tempo si svolga, tra adulti e bambini, una battaglia molto dura. Una battaglia che i bambini perdono quasi sempre. È una battaglia che si svolge in famiglia, quasi tutti i giorni, ma che ferisce molti bambini, talvolta in modo indimenticabile, soprattutto nella scuola.”[1]

Non sarà forse il caso di lasciarli in pace questi bambini, tentando piuttosto di salvaguardare la loro integrità e capacità d’apprendere dalla vita?

Non serve accelerare, piuttosto rallentare, ral…len…ta…re, ascoltare quanti tempi diversi convivono uno accanto all’altro, quanti ritmi di vita s’intrecciano.  Dove è finito il tempo dell’umano incontrarsi, il tempo della relazione, del silenzio o del dialogare? Perché tanta fretta? Per andare dove poi? E di quale conoscenza hanno realmente bisogno i bambini, oltre ad essere istruiti nel “leggere, scrivere e far di compito”?

Qualcuno mi ha detto che su questa terra non mancano persone intelligenti, ma persone di cuore. È vero, mancano persone che abbiano messo la loro intelligenza al servizio del cuore, intendendo con ciò non un’ingenua bontà, ma la capacità di riconoscere nell’altro da sé oltre che inoppugnabili e a volte fastidiose differenze, anche un’unitaria appartenenza che ha radici nella vita e non nel pensiero. Tutti ormai sanno un po’ di tutto, ma non sanno che farsene per rendere la loro vita meno disperante e meno infelice. Sono quindi conoscenze inutili, idee fagocitate senza alcun vero impatto nella nostra esistenza, idee religiose, psicologiche, filosofiche, politiche o di buon senso, ma sempre e solo idee. è vero sappiamo molte cose, ma quando poi dobbiamo occuparci della nostra umanità o di quella degli altri riusciamo ad essere professionali, ideologici, violenti, sprovveduti, spaventati o saccenti ma raramente umani e a nostro agio. Ci occupiamo del fare ma raramente lo facciamo preoccupandoci dello sviluppo dell’essere.  In tal modo ogni cosa perde senso, finché alla fine una cosa vale l’altra. Che tristezza. Mi domando allora cosa può importare della vita degli altri a chi ha da tempo rinunciato alla serietà della propria?

Perciò occupiamoci dei bambini sul serio, occupandoci seriamente di ciò che non va in noi e nel nostro mondo adulto, sempre più competitivo, psicotico e triste ma soprattutto privo di senso e di speranze. Togliamo loro il peso della nostra eccessiva preoccupazione rispetto a ciò che faranno da grandi, quali competenze avranno, quanto bravi saranno, quante medaglie dovranno vincere, quanto, quanto, quanto e presto, presto, prestissimo…

Per favore lasciamoli in pace.

Che siano liberi da subito di essere ciò che già sono e di diventare ciò che devono diventare nel tempo che ad ognuno serve, cioè il proprio e quello di nessun altro, nella speranza che i bambini di oggi, prima di ogni altra cosa, aspirino ad essere umanità ben riuscite. Chissà forse in un futuro non lontano, riusciranno a cambiare ciò che noi non siamo più in grado di cambiare, ma dobbiamo liberare la strada da troppi saperi insensati e riconsegnare loro la speranza. O meglio ancora: non strappargliela.

“L’etica – c’insegna Edda Ducci – non come sapere ma fondamentalmente come potere, non deve essere impressa nell’uomo ma, al contrario, la si deve esprimere da lui, portandolo ad attuare ciò che già è kata dynamin (ciò che deve diventare). Di conseguenza la comunicazione etica non si potrà avere se non nella situazione, cioè nel medio della realtà concreta, esistenziale, in cui domina la dinamicità della persona”[2].

Ho affermato in apertura che i bambini hanno un compito importante dal quale non vanno distolti, ma chi li aiuta?

Sono desolato per tutti coloro che non capiscono, ma chi capisce si sbrighi nel rendere effettiva nella sua vita tale comprensione e aiuti altri a fare lo stesso.

In tal senso non si può più perdere tempo.


[1] Franco, Lorenzoni, Ciascuno nasce con il suo tempo, Città Educativa Roma 2005.

[2] Edda, Ducci, La maieutica kierkegaardiana, pg. 129.