La seconda parte del contributo di Giuseppe Esposito, tratto dal seminario “I volti e le vertigini dell’amore” tenutosi a Capri l’11 ottobre 2014.
Il volto dell’Eteros ha il volto della donna, l’amore non come incontro tra i sessi ma come incontro tra differenze.
L’esperienza d’amore coincide dunque con quale “oggetto” di desiderio si è stati per l’Altro. A seconda dell’oggetto d’amore che si è stati e di come è stata soggettivata tale esperienza e modalità relazionale, verrà fuori la nostra singolare modalità di amare e di saper ricevere amore. Nell’amore si entra in un terreno impervio, si entra in un campo minato, in una vertigine, in una zona di turbolenza, l’Io collassa, si entra nel territorio del due, perché nell’amore il soggetto deve necessariamente rendere una quota del suo narcisismo (del mondo dell’uno) perché si entra nell’esperienza del mondo del due ed il mondo del due è il mondo dell’incontro con la differenza, è l’incontro con l’eteros, con l’essere straniero dell’Altro, con la sua indipendenza, con la sua alterità, con la sua singolarità, con il suo essere diverso da me. E’ in questo senso che possiamo dire con J. Lacan che l’amore è sempre amore eterosessuale, anche quello omosessuale. “L’eterosessuale è colui che sa amare l’Altro sesso, al di là del suo sesso anatomico e del suo abito identificatorio. Proprio perché l’eteros s’inscrive nella più radicale disimmetria tra i sessi” (M.Recalcati, J.Lacan – Desiderio, Godimento, Soggettivazione, R.Cortina,2012).
L’amore non è incontro tra sessi, l’amore è incontro tra soggetti perché l’amore è essenzialmente esperienza d’incontro con la differenza soggettiva e particolare di cui l’Altro è costituito. L’amore è incontro con l’enigma, con il labirinto, con la lingua straniera che l’Altro è. Questo porta inoltre Lacan a dire che l’amore è sempre l’amore per una donna, in quanto egli identifica e vede nell’essere della donna, nell’essere del femminile quello che più di tutti incarna il carattere della differenza, il carattere di una libertà irriducibile, non imbrigliabile, che sfugge ad ogni tentativo di governo e di misura. La donna parla una lingua diversa e per certi versi intraducibile, che per l’uomo è quasi impossibile da codificare. Ed è questo uno dei motivi per cui molti uomini, quando entrano in relazione con il femminile, sono chiamati a fare uno sforzo di apprendimento (in quanto la donna è l’essere che ha più conoscenza delle cose dell’amore – come ci fa notare Socrate nel Simposio di Platone – ed anche perché è la donna che sa abitare meglio quella zona di confine tra ragione e follia) e quando si fallisce quella possibilità di apprendere, gli uomini rischiano di cadere in una follia incontrollabile che spesso, la cronaca ci informa quotidianamente in tal senso, li fa scivolare in atti di violenza inaudita e di soppressione della donna. La libertà dell’Altro fa paura e la donna incarna più dell’uomo tale libertà (basta citare gli innumerevoli modi di cui una donna sa godere dell’amore mentre il godimento dell’uomo è monos, monotematicamente fallico), libertà che gli uomini si mostrano come incapaci di comprendere e di governare, perciò arrivano ad uccidere. Per suggellare l’illusione di un possesso, nel tentativo di imprigionare una libertà con cui non sanno relazionarsi e su cui tentano un’illusoria appropriazione dando la morte.
Essere in relazione all’eteros significa essere di fronte ad una interezza connotata come differenza. Quando si dice: “Ti amo”, cosa sto amando? Sto amando una differenza! Amare l’eteros significa amare il tutto dell’Altro, non i pezzi, i frammenti in cui tendo a ridurre l’Altro. Stare nell’amore è essere connessi al tutto dell’Altro, significa riuscire a generare uno spazio soggettivo in grado di accogliere il tutto dell’altro, ma proprio tutto, soprattutto ciò che non ci piace. Questa è una grande prova che ci chiede ed a cui ci convoca l’amore. Per questo nel razzismo, nella fobia per lo straniero, si sente che l’amore evapora, è il grande assente, perché non c’è più spazio per l’accoglimento della differenza dell’Altro (si dice sempre più, rispetto agli stranieri che raggiungono per ragioni di sopravvivenza il nostro paese, che non c’è spazio per tutti, rivendicando sempre più proprietà presunte, arbitrarie e spesso inesistenti). Non c’è più spazio per l’accoglimento della differenza che l’Altro straniero porta con sé. Quella differenza è la sua libertà. La vera paura del razzista è la paura della libertà che l’Altro è e porta con sé. Nell’amore abbiamo la possibilità di poter amare, se ci riusciamo, tutta la differenza dell’Altro perché tutta la sua differenza coincide con la sua libertà. Amando quella differenza stiamo amando una libertà che non possiamo e non potremmo mai imprigionare. Esiste un amore più grande di un amore che sa amare la libertà dell’Altro?
La capacità di amare offre la misura nel poter e nel sapere accogliere, di non scartare, ma di poter amare tutto dell’Altro. Non pezzi, ma tutto, tutta l’interezza che contraddistingue quella singolarità insostituibile. Amare è amare quel particolare, quella unicità, quella singolarità che tu solo sei, che solo il tuo nome esprime e dice.
Il Volto dell’amore come generatività
Per Platone, il volto dell’amore è quello di Eros, figlio di Penia (che significa penuria, povertà) e di Poros (che significa via). Platone stravolge la genealogia di Eros (che era prima definito figlio di Afrodite – dea della sessualità, dell’impulso al desiderio sessuale – e figlio di Ares, dio della guerra e dell’odio) in quanto lo fa discendere dalla povertà, cambiando così il suo statuto mitologico (e quindi la natura dell’amore) da una facoltà di potere di cui si è più o meno dotati ad un qualcosa che ha a che fare con la povertà, con la mancanza. Inoltre, Platone fa coincidere Eros con poietes (poeta). Poietes è colui che fa, è colui che svolge un’azione, che crea e che genera. Eros coincide con l’azione e con il saper fare, ci dice Socrate. L’amore è una sapienza ed è connessa al creare, al generare (M. Cacciari). L’amore esce dal gioco delle passioni, delle pene e del patimento per entrare nei significati del saper produrre e del saper generare. Nell’amore è solo l’Io quello che patisce mentre l’amore si eleva come l’elemento e quella possibilità per la soggettività umana di essere e divenire generativa. Il compito dell’amore è creare, produrre, creare arte, è generare connessioni. Dell’amore come generativo di connessioni nella realtà, P. Menghi dice: “L’amore è connessione. La connessione è la realtà. Realtà è amore. L’esperienza di questa realtà è chiamata estasi. L’ignoranza di questa realtà è sofferenza, ed è alla base di tutte le sofferenze (P. Menghi, Figli dell’istante).
Il volto dell'”Ancora”, l’amore nella ripetizione dello stesso
L‘Ancòra indica lo statuto di una ripetizione a cui l’essere umano è assoggettato, indica che la domanda d’amore è continua ed infinita. Con “encore” Lacan nomina l’amore, volendo sottolineare che la domanda d’amore non si soddisfa mai. Già Platone, Schopenhauer e poi Freud avevano evidenziato la tendenza insita nella struttura umana della spinta a ripetere un piacere di cui il soggetto ha conoscenza e che ha già provato e come questo sia il tratto, un dispositivo strutturale e costitutivo del funzionamento dell’essere umano. L’amore necessita di essere ripetuto. L’individuo, nell’amore, vuole stare in un’esperienza che abbia la connotazione della ripetizione dello stesso e che tende a ricercare e a ripetere continuamente. Ancora è uno dei modi in cui Lacan parla dell’amore invitando a distinguere l’amore dal godimento: mentre nel godimento è in gioco il fisico, il bisogno fisiologico che riduce l’Altro ad un oggetto, l’amore rappresenta invece un’alternativa, in quanto è in gioco l’espressione del desiderio che un soggetto ha per un altro soggetto. Nell’amore vogliamo che quello che stiamo vivendo si ripeta …per sempre (è un pò il sogno di tutti gli amanti, almeno all’inizio del loro amore). Il sogno degli amanti è che il loro amore sia per sempre e per essere per sempre deve ripetersi in un Ancora. Ma l’incontro d’amore, il miracolo dell’incontro d’amore è’ l’incontro di due soggetti, di due solitudini che non faranno mai uno e l’incontro d’amore si rende possibile proprio perché queste due solitudini rimarranno esiliate nella solitudine delle loro soggettività. Più ci sarà consapevolezza di questa solitudine, di questa impossibilità di fare uno rimanendo nel due, più ci sarà possibilità di tenuta del legame tra le due differenti soggettività e quindi più il legame d’amore avrà possibilità di tenuta e di realizzarsi.
“Perché amore domanda amore. Non cessa di domandarlo. Lo domanda…ancora.”. Ancora è il nome proprio della faglia da dove nell’Altro parte la domanda d’amore. (J.Lacan, “Il seminario libro XX, Ancora).
L’Amore è incontrarsi e perdersi continuamente nel mondo e nella differenza dell’Altro e coinvolge l’uomo nella generazione e nella costruzione di nuovi mondi. L’amore è la domanda di un ancora sempre nuovo che si ritrova nello stesso e nel miracolo degli opposti. L’amore cerca, domanda e si avvera in un…ancora.
* Giuseppe Esposito, psicologo, psicoterapeuta.