Chi è l’uomo responsabile? Che ricaduta pratica dovrebbe avere la responsabilità nella propria esistenza?
Se la sensibilità relativamente alla responsabilità dovrebbe essere alta in chi è impegnato come genitore, educatore o terapeuta, e aggiungerei, in chi è impegnato nel gestire la cosa pubblica come politici e funzionari statali, il fatto di osservare la convivenza civile attraverso questo parametro dovrebbe riguardare ogni persona, in particolare nella sua qualità di cittadino. Si assiste recentemente ad una pubblica e indebita appropriazione del senso di fin troppe parole, forzate a volte fino alla loro completa perversione semantica. “Responsabilità” è una di esse. Il fatto che ad operare tale riduzione siano attualmente alcuni politici o organi di informazione di massa, è solo uno dei fronti più visibili di tale “abuso della parola”, cosa che però non giustifica il generale addormentamento e l’inabissarsi di una più importante autonomia di pensiero, base per ogni agire edificante nella convivenza. Il risultato non è rassicurante.
L’espressione più evidente di tale modalità sul piano sociale sta nella mortificazione del pensiero, dell’istruzione e della cultura, ad esaltazione di un “fare” proclamato volutamente in modo ambiguo come sinonimo di “onestà e concretezza”, che ovviamente rimane una chiacchiera politica mai comprovata da risultati; sta nell’avvilimento di ogni forma di arte in quanto non produttiva, nella riduzione mutilante della complessità propria di ogni convivenza attraverso semplificazioni ideologiche e territoriali; sta nella giustificazione ottusa di comportamenti predatori, violenti, razzisti e d’emarginazione solo per sostenere i privilegi di pochi a svantaggio di molti, comportamenti altrimenti inammissibili alla luce di un agire realmente responsabile.
Pensiero complesso, quindi condiviso, disponibile al confronto e sottoposto a critica altrettanto complessa, assieme ad un’azione conseguente e coerente con i principi che la sostengono, anch’essa a sua volta sottoposta a verifica, è l’unica forma di responsabilità che conosco e base per una democrazia sana. Quando non si accettano né confronti né verifiche, si tenta di agire al di fuori della propria responsabilità, e questo è sempre pericoloso, in particolare quando ne nasce una questione di potere e dominio.
Le parole che seguono furono scritte nel 1943 dal pastore luterano Dietrich Bonhoeffer, impiccato dai nazisti nel 1945 per aver preso parte al fallito complotto dei generali tedeschi contro Hitler. Colpiscono le sue parole per la loro attualità e forza: di fronte all’idea di responsabilità che ci propone è difficile rimanere indifferenti, vista anche la sproporzione che emerge tra il contesto storico in cui tali parole furono pronunciate e la nostra attuale situazione di benessere e comodità.
«Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, e in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’auto dissoluzione, perché dietro di sé nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese. Qui non si può ottenere nulla, né con proteste, né con la forza; le motivazioni non servono a niente. Ai fatti che sono in contraddizione con i pregiudizi personali semplicemente non si deve credere — in questi casi lo stupido diventa addirittura scettico — e quando sia impossibile sfuggire ad essi, possono essere messi semplicemente da parte come casi irrilevanti. Nel far questo lo stupido, a differenza del malvagio, si sente completamente soddisfatto di sé; anzi, diventa addirittura pericoloso, perché con facilità passa rabbiosamente all’attacco. Perciò è necessario essere più guardinghi nei confronti dello stupido che del malvagio.
Non tenteremo mai più di persuadere con argomentazioni lo stupido: è una cosa senza senso e pericolosa.
Se vogliamo trovare il modo di spuntarla con la stupidità, dobbiamo cercare di conoscerne l’ essenza. Una cosa è certa, che si tratta essenzialmente di un difetto che interessa non l’intelletto ma l’umanità di una persona. Ci sono uomini straordinariamente elastici dal punto di vista intellettuale che sono stupidi e uomini molto goffi intellettualmente che non lo sono affatto. Ci accorgiamo con stupore di questo in certe situazioni, nelle quali si ha l’impressione che la stupidità non sia un difetto congenito, ma piuttosto che in determinate circostanze gli uomini vengano resi stupidi, ovvero si lascino rendere tali. Ci è dato osservare, inoltre, che uomini indipendenti, ché conducono vita solitaria, denunciano questo difetto più raramente di uomini o gruppi che inclinano o sono costretti a vivere in compagnia. Perciò la stupidità sembra essere un problema sociologico piuttosto che un problema psicologico. E una forma particolare degli effetti che le circostanze storiche producono negli uomini; un fenomeno psicologico che si accompagna a determinati rapporti esterni. Osservando meglio, si nota che qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di una gran parte degli uomini. Sembra anzi che si tratti dì una legge socio-psicologica. La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri. Il processo secondo cui ciò avviene, non è tanto quello dell’atrofia o della perdita improvvisa di determinate facoltà umane — ad esempio quelle intellettuali — ma piuttosto quello per cui, sotto la schiacciante impressione prodotta dall’ostentazione di potenza, l’uomo viene derubato della sua indipendenza interiore e rinuncia così, più o meno consapevolmente, ad assumere un atteggiamento personale davanti alle situazioni che gli si presentano. Il fatto che lo stupido sia spesso testardo non deve ingannare sulla sua mancanza d’indipendenza. Parlandogli ci si accorge addirittura che non si ha che fare direttamente con lui, con lui personalmente, ma con slogan, motti ecc. da cui egli è dominato. È ammaliato, accecato, vittima di un abuso e di un trattamento pervertito che coinvolge la sua stessa persona. Trasformatosi in uno strumento senza volontà, lo stupido sarà capace di qualsiasi malvagità, essendo contemporaneamente incapace di riconoscerla come tale. Questo è il pericolo che una profanazione diabolica porta con sé. Ci sono uomini che potranno esserne rovinati per sempre. Ma a questo punto è anche chiaro che la stupidità non potrà essere vinta impartendo degli insegnamenti, ma solo da un atto di liberazione. Ci si dovrà rassegnare al fatto che nella maggioranza dei casi un’autentica liberazione interiore è possibile solo dopo esser stata preceduta dalla liberazione esteriore; fino a quel momento, dovremo rinunciare ad ogni tentativo di convincere lo stupido. In questo stato di cose sta anche la ragione per cui in simili circostanze inutilmente ci sforziamo di capire che cosa effettivamente pensi il “popolo”, e per cui questo interrogativo risulta contemporaneamente superfluo — sempre però solo in queste circostanze — per chi pensa e agisce in modo responsabile. La Bibbia, affermando che il timore di Dio è l’inizio della sapienza (Sal 111,10), dice che la liberazione interiore dell’uomo alla vita responsabile davanti a Dio è l’unica reale vittoria sulla stupidità. Del resto, siffatte riflessioni sulla stupidità comportano questo di consolante, che con esse viene assolutamente esclusa la possibilità di considerare la maggioranza degli uomini come stupida in ogni caso. Tutto dipenderà in realtà dall’atteggiamento di coloro che detengono il potere: se essi ripongono le loro aspettative più nella stupidità o più nell’autonomia interiore e nella indipendenza degli uomini».[1]
Il dubbio d’appartenere alla schiera degli stupidi dei quali Bonhoeffer parla credo possa attraversarci e sicuramente può toccare ancor più chi quel rischio lo ha corso davvero o ne ha pagato il prezzo sulla propria pelle per causa altrui. Perciò resta vigile, veglia su di sé e al contempo non si accontenta di vivere in superficie, non prendendo quindi in prestito pensieri, significati, opinioni. Avere un atteggiamento personale di fronte alle situazioni che ad ognuno si presentano, segno d’indipendenza interiore, comporta responsabilità oltre che forza di solitudine. Ecco infine cosa scrive Bonhoeffer a proposito della responsabilità: «L’uomo responsabile agisce nella libertà del proprio essere senza cercar riparo dietro a persone, situazioni o principi, ma tenendo conto di tutte le circostanze di carattere umano e ambientale e delle considerazioni di principio. Il fatto che nulla possa rispondere per lui o scusarlo, se non le sue azioni e la sua persona stessa, è la prova della sua libertà. Deve osservare, giudicare, valutare, decidere e agire da sé; deve vagliare personalmente i motivi, le prospettive, il valore e il senso delle proprie azioni. L’azione responsabile è un rischio liberamente assunto, che nessuna legge giustifica, che si compie rinunciando a qualsiasi valida auto giustificazione, e rinunciando pertanto a qualsiasi pretesa di avere la suprema conoscenza del bene e del male». Fin qui sia il laico, il non credente che il religioso possono trovare una loro linea d’incontro ma è anche giusto aggiungere quale fosse per lui la prospettiva massima alla quale mirava, in quanto uomo di fede: «L’uomo che opera nella libertà della sua personalissima responsabilità vede le proprie azioni aprirsi alla guida di Dio. Quando l’uomo abbandona liberamente la conoscenza del suo bene si compie il bene di Dio».[2]
Antonio Ricci
Presidente Centro Studi Educativi e Pedagogici Periagogè