Qualche mese fa sono stato contattato da Damiano Bellino, pedagogista e disegnatore di grande sensibilità e bravura, il quale mi ha proposto di partecipare ad un suo progetto editoriale con una mia testimonianza relativa al periodo di isolamento che abbiamo vissuto tra marzo e maggio 2020, a causa della pandemia. A dicembre è stato infine pubblicato il libro “My sunny quarantine” che raccoglie 35 storie accompagnate dai poetici acquerelli di Damiano.
Un vero lavoro di cuore, commovente, serio e reale.
La cosa bella è che una parte dei proventi sarà devoluta al Reparto di Rianimazione dell’Ospedale di Padova e ad enti e associazioni ancora impegnate nella gestione dell’emergenza Covid-19. Se qualcuno volesse acquistarlo o acquistare le illustrazioni, può farlo direttamente da https://mysunnyquarantine.myportfolio.com
Perciò ho accettato volentieri, scrivendo un piccolo testo a mo’ di racconto, introducendolo con qualche parola per far comprendere a Damiano da dove traessi la mia esperienza.
Con piacere quindi condivido su questo nostro blog, sia la lettera che il testo pubblicato sul libro.
—————–
“Ciao Damiano, una breve premessa per comprendere il mio intervento.
Ho lavorato da marzo a giugno 2020, come volontario temporaneo al numero verde del Supporto Psicosociale della centrale operativa nazionale della CRI a Roma. Ho ascoltato e gestito direttamente centinaia di richieste di aiuto, assieme ad altri 20 colleghi, arrivando tutti insieme a gestire migliaia di casi nell’arco di circa tre mesi.
Cosa credo sia accaduto?
L’isolamento forzato a fronte di un confuso e onnipervasivo “pericolo mortale”; l’improvvisa mancanza, a mio avviso colpevole, dei consueti supporti psicologici e psichiatrici necessari, che ha anche assunto le caratteristiche di abbandono traumatico; la carenza di alternative di supporto valide e tempestive; la mancanza di adeguate giustificazioni al trattamento subito e imposto, nella percezione di essere dimenticati e sacrificabili, sono stati causa di una potente onda destrutturante sul piano psichico, che ha leso poi in modo ancora più grave chi fragile già lo era.
Si è diventati improvvisamente, e tutti, un corpo biologico, un “soma” cadavere scisso dalla propria anima; corpo fisico considerato ben più importante della psiche per una idiota semplificazione scientista, e in quanto tale pericolosa; idea malsana al servizio di una medicina e di una psichiatria da farmaco e basta; al servizio di una paura che vorrebbe tutto misurare e controllare, costi quel che costi.
E i bambini qualcuno se li è ricordati? Qualcuno si è accorto quali danni abbiano subito? Che società paradossale: siamo passati nel giro di un giorno da una pedagogia super evoluta e progressista, attentissima ad ogni possibile danno da disattenzione, a volte anche in modo esagerato, ad una scomparsa improvvisa di ogni considerazione dell’infanzia, con la stessa percezione di sacrificabilità irrazionale della loro salute emotiva e psichica, di fronte al rischio di una malattia fisica, che inoltre non è mai stata un pericolo grave per loro. La salute mentale e quella fisica non sono due cose separate e non vanno mai separate. Nessun pensiero è stato fatto per tutelare i bambini dalla paura, dall’ansia e dalla follia degli adulti, dall’irrazionalità crescente, dalla mancanza di adeguate risposte ai loro necessari, e comunque presenti, bisogni di crescita. Tutti a casa e basta. Una noncuranza colpevole e ingiustificata che credo avrà effetti a lunga scadenza. Ma in fondo a chi importa?
Infine una cosa sopra tutte le altre credo abbia condizionato in modo rilevante la caduta di molti equilibri psichici, anche insospettabili: l’irrompere della morte come idea e fatto. Questa sua insistente e non rimovibile presenza con l’inevitabile rottura di sicurezze reali e illusorie ha fatto emergere tutta la nostra vulnerabilità. Forse qualcuno se ne era già accorto, qualcuno si è improvvisamente svegliato in un incubo e forse qualcuno ne ha fatto tesoro.
Una frase di Nietzsche, “Vivere è, in generale, essere in pericolo”, ed una di Cioran, “La missione di ognuno è di portare a buon fine la menzogna che incarna, di giungere a non essere altro che un’illusione esaurita”, mi hanno accompagnato spesso in quei giorni, nel mentre ascoltavo centinaia di storie di sofferenza, tentando di fare del mio meglio per aiutare le persone a non soccombere.
Anche io soffrivo con loro.
———————
Dal libro “My Sunny Quarantine”
“Vi ho ascoltato per mesi da un telefono, chiuso dentro una stanza, senza poter vedere i vostri corpi e volti.
Allora ho pensato ad ognuno di voi come ad un fiore, per farne un mazzo coloratissimo e profumato, un mazzo di umanità belle e sofferenti, dimenticate, trasparenti e irraggiunte.
Anemone, vecchino grasso e simpatico, che ogni giorno silenziosamente fa il suo solitario a carte per sapere se morirà prima del suo compleanno, da solo e senza funerali.
Cardo che urla per il panico e che vuole farla finita perché il lavoro non c’è, la solitudine è troppa e lui non ce la fa più.
Campanula esile fiore consumato, oramai solo pelle e ossa che non ha paura di morire, che non mangia ma è solo bisognosa d’amore e nessuno lo capisce.
Fresia, piccola adolescente, che si rinchiude in camera perché la madre fa entrare un uomo che di nascosto tenta di molestarla e lei ha paura… e sì, gli orchi esistono ancora e anche le madri troppo distratte.
Loto che scrive poesie dolcissime a memoria, per lenire la solitudine e la tristezza per un figlio morto giovane, e per tentare di dare senso a una vita di dolore.
Silene che piange di tristezza e rabbia perché il padre è morto e lei non è riuscita nemmeno a salutarlo, perché anche la pietà è svanita, le misure igieniche hanno cancellato anche quest’ultimo baluardo di umanità: piangete i vostri morti a casa vostra.
Orchidea che da troppi giorni tenta di salvare vite, che non dorme, non mangia perché non c’è tempo, bisogna salvare vite. Orchidea che piange perché non ci riesce come vorrebbe, e che il dolore di vedere andar via tutta quella gente è troppo, senza soluzione, senza speranza. Una vita persa è un mondo perso. Una vita salvata è un mondo salvato.
Ortensia, Primula e Ranuncolo che si sono persi nei labirinti delle loro menti tra fantasmi buoni e cattivi, terrori reali e presunti, minestroni di parole, dolori e rabbie; imbottiti di farmaci che ti tolgono la paura ma anche la gioia, che ti fanno diventare un cagnolino docile ma anche stupido, bavoso, inetto; fiori molto fragili e delicati completamente soli, abbandonati a loro stessi, spaventati dal vento troppo forte della solitudine e dell’incertezza e dalla pioggia battente della paura che non smette mai di scrosciare nelle loro teste.
Ed infine Viola, Primula, Papavero, Iris e interi prati di Margherite, piccoli fiori appena sbocciati che reclamano il diritto al gioco, alla spensieratezza, alla scuola, agli abbracci; fiori spaventati, terrorizzati che il mondo sia finito, che tutti muoiano, anche il papà e la mamma; che non capiscono perché, se non c’è alcun pericolo, debbano restare a casa, con le mascherine, rinchiusi in camera, senza toccare niente e nessuno.
Adulti cari liberateli dal carico troppo pesante delle vostre paure irrisolte, proteggeteli dal troppo sapere e dal poco capire, lasciateli in pace e ascoltateli. Trasmettete piuttosto loro la vostra speranza se ne avete, costruite un ponte che passi sopra a tutta questa assurdità e dolore per farli approdare in un altrove dove potranno essere uomini e donne che a loro volta sapranno amare, comprendere, proteggere e costruire”.
Antonio Ricci, psicopedagogista, volontario temporaneo CRI presso il Supporto Psicosociale Nazionale della CRI.
Acquerello di Damiano Bellino, tratto da “My Sunny Quarantine” – Damiano Bellino Studio 2020 ©.